Nasce la figura del “publisher” che fa concorrenza agli editori.

Questo articolo, forse, non piacerà a tante persone ma io racconto semplicemente ciò che ho notato avvenire, in questi ultimi tempi, in ambito editoriale. Mi riferisco alla piccola editoria, ovviamente.

In America, dopo la rivoluzione del digitale, che ha completamente cambiato il sistema di pubblicazione e le aspirazioni degli autori emergenti, permettendo loro di autoprodursi e di potersi gestire da soli, senza l'ausilio né il giudizio di una casa editrice, sono nate figure professionali attorno al self-publishing stesso. Figure professionali che vi faranno capire quanto grande sia diventato questo “mondo”.

Partiamo dall'inizio.

Il self-publishing, un tempo neanche troppo lontano, era considerato l'ultima spiaggia per un giovane e promettente scrittore, ovvero l'unica possibilità di vedere su carta la sua opera letteraria. C'è da dire che il self-publishing non era affatto quello di oggi: allora, bisognava recarsi in una tipografia e farsi stampare un bel numero di copie della propria opera, (dico un bel numero perché di solito i tipografi non accettavano commissioni di stampa inferiori alle dieci o venti copie, considerate troppo esigue per i costi di stampa). Pertanto, capirete che gli scrittori, che non avevano trovato una casa editrice disposta a pubblicarli, dovevano rivolgersi a un tipografo per stampare un bel numero di copie da utilizzare per presentazioni, regali, e via dicendo. Tuttavia, il loro giro di promozione era ridotto all'osso: ai parenti e agli amici, in primis, ai vicini di casa, ai colleghi di lavoro, ai conoscenti, a quelli che incontravano per strada. Magari, se proprio erano fortunati, a qualche libreria indipendente, da cui erano conosciuti magari in qualità di clienti, se acquistavano il codice ISBN (senza il quale nessun prodotto, libri compresi, può entrare in commercio, quindi esser venduto) da attribuire alla loro storia. 

Capirete che l'autopubblicazione, in quegli anni, forse una ventina, fosse una strada tutta in salita. Molto complessa e totalmente diversa da quella di oggi.

Dicevo che, da quando il self-publishing è cambiato, però, grazie all'avvento del digitale (quindi agli eBook e alla possibilità di pubblicare e vendere su piattaforme di e-commerce come Amazon), il panorama sia diventato un altro.

Gli eBook hanno aperto poi la strada ai libri cartacei a cui, però, a differenza dei primi (che possono essere venduti con un codice a parte) va attribuito il codice ISBN per essere commerciabili, senza dover investire un centesimo.

Attenti se vogliono farvi pagare il codice ISBN! 

Potete scegliere di andare altrove. Ci sono piattaforme (come Amazon, per l'appunto) che ve lo forniscono gratis. Non siete dovuti a pagarlo, infatti.

Dicevo, il self-publishing di oggi è diventato, quindi, un business a tutti gli effetti con la possibilità di scrivere e di farsi leggere da persone che sono anche da altre parti del mondo, grazie alla commercializzazione delle opere sugli store online più importanti.

Cosa accade, se si decide di sfruttare questa risorsa per farla diventare un'attività a tutti gli effetti?

Si sceglie una di queste due strade: la creazione di una casa editrice che si appoggi a un e-commerce (come Amazon), eliminando così tutti i costi di stampa pretesi dalle tipografie e di distribuzione nelle librerie, oppure si diventa dal niente dei “publisher” (ovvero dei “pubblicatori” in senso letterale).

Chi è il pubblicatore?

Il publisher, in realtà, nel web marketing è una persona che si occupa di creare e pubblicare contenuti per siti web e blog, spazi pubblicitari e campagne di affiliazione, ma oggi si definisce tale anche un vero imprenditore digitale nel settore del self-publishing.

Il “pubblicatore” (in italiano non suona proprio bene), però, parliamoci chiaro, non è un editore, né una figura professionale di spicco o di esperienza, o di grandi studi in ambito letterario. No, è una persona solo molto creativa, oltre che intraprendente, che ha studiato il mercato del self-publishing e ha capito che può trarne dei vantaggi, o meglio delle potenzialità da sfruttare a suo beneficio.

Tra l'altro, di questo argomento ne parlano ormai diversi manuali di scrittura, pertanto non vi sto raccontando niente di nuovo, ma intendo comparare questa figura a quella degli editori di ultima generazione: quelli nuovi, per intenderci.

Il “pubblicatore” è, infatti, uno scrittore o un creatore, un imprenditore digitale, o una persona che ha deciso di rimboccarsi le maniche per creare attorno al self-publishing di oggi la sua attività principale.

Il giovane editore (giovane inteso come novello, nuovo) idem, ma con un'organizzazione ben diversa. 

Ecco le differenze tra editore e publisher.

L'editore novello (che apre la piccola casa editrice per intraprendere un'attività di cui è appassionato) è colui (o colei) che vuole vivere di commercializzazione di libri, quindi ingaggia un team di persone (editor, grafico, promotore, beta reader, blogger) che, se non ha troppe risorse economiche, non paga (o paga in copie cartacee, buoni sconto, percentuali residue annuali) e che lavori a stretto contatto, creando un'impresa a tutti gli effetti con i suoi rischi e i suoi vantaggi.

Quando si apre un'impresa, dopotutto, c'è da aprire una partita iva, c'è la registrazione di un marchio, c'è un logo, c'è un sito internet, c'è tutta una serie di operazioni che vanno svolte, affinché l'attività sia legalmente riconosciuta e attiva nel suo ambito. Certo, come ogni impresa, deve fatturare, quindi va sempre studiata una strategia tale da incassare dei profitti, altrimenti sarebbe assurdo e inutile adoperarsi tanto per non poter campare su questo come per un qualunque lavoro indipendente. 

Le piccole case editrici, quelle degli ultimi tempi, hanno un comun denominatore, però. Non so se lo avete notato: nella maggior parte dei casi si appoggiano ad Amazon, l'azienda leader del self-publishing nel mondo. Questa scelta permette a chiunque di aprire un'attività in proprio con un rischio ridotto all'osso che, però, può ottenere dei ricavi interessanti, mettendo sotto contratto autori, giovani e meno, (di solito, mi duole dirlo: inesperti) a cui concedere diritti annuali (le royalty) molto scarsi. Quindi i vantaggi, i guadagni, la torta viene divisa in un modo per niente equo, anzi... ma questo lo fanno anche le grandi case editrici, fa parte del gioco.

Il publisher o pubblicatore, invece, può creare dal niente la sua attività, in qualità di autore self-publisher, raccogliendo collaborazioni gratuite, o pagate poco, per fare le stesse cose senza aprire una partita iva o creare un logo. Il pubblicatore semplicemente pubblica le sue opere e quelle degli altri, comprandole a un prezzo irrisorio. 

Questa persona, infatti, contatta a caso degli autori, esordienti o meno, e chiede loro di scrivere per lui, pagando una cifra ridicola (è capitato anche a me, signori!) per redigere un'opera di natura letteraria. In pratica, va alla ricerca di aspiranti ghostwriter, dico aspiranti perché non ha intenzione di spendere grandi cifre, da sfruttare a tutti gli effetti (ed è facile che abbocchino proprio le giovani leve, quelle impreparate, i principianti).

Un autore emergente, in quanto tale, può vedere l'idea di essere pagato da qualcuno per scrivere un libro come allettante senza immaginare quanto possa venire fregato in tal senso. Perché fregato? Perché non si informa sui prezzi di mercato, su quanto è giusto che chieda, per il lavoro occasionale di scrivere un libro. I ghostwriter navigati, quelli che hanno cominciato con poco, ma che lo fanno in modo professionale, infatti, chiedono cifre astronomiche per scrivere un romanzo. Si parla di cifre che partono dai mille euro a salire valutando un minimo di cento pagine. Dopotutto, creare dal niente un'opera d'ingegno, a qualunque genere appartenga, è un impegno grosso, un lavoro che richiede tempo, pazienza, documentazione, e tanta tanta attenzione (non dimentichiamo che, dopo aver scritto il testo, bisogna fare un buon editing e un'attenta correzione di bozze, attività che pure hanno un costo e per le quali si impiegano ulteriori energie). 

Ricordiamoci, inoltre, che un libro ha tutte le carte in regola, come ogni opera artistica, per assumere un certo valore nel tempo e diventare una piccola rendita. Quindi, gli autori che, per poche centinaia di euro, si prestano a cedere ai publisher il risultato della loro fatica, del loro ingegno, della loro aspirazione, del tempo e del sacrificio a cui si sottopongono, non si rendono conto, in realtà, di ciò che stanno dando.

Avrete capito, quindi, che il “pubblicatore” è una persona, molto sveglia e intraprendente, che neanche si premura di aprire un'attività in piena regola, perché può sfruttare il sistema self-publishing di oggi in modo del tutto pulito senza esasperanti e inutili oneri. Non ne ha bisogno. Lui/lei ingaggia semplicemente gente che scriva, paga per gli scritti e li pubblica, guadagnandoci senza nessun altro obbligo (come i self-publisher, infatti, non ha bisogno di aprire la partita iva, ma può tranquillamente campare di ritenuta d'acconto nella sua dichiarazione dei redditi. L'importante è che non superi i cinquemila euro l'anno. Dopodiché sarà il suo commercialista a dirgli cosa fare).

Cosa è meglio fare, secondo voi: diventare “publisher” o editore? O forse scrivere da self-publisher senza sfruttare il lavoro altrui?

 

 Foto: pixabay.it


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