Letters from Arizona

Questo è il primo romanzo che leggo dell'autrice Mariasole Maglione e, un po' affascinata dal titolo, oltre che dalla trama, e un po' dall'ottima promozione digitale che ne fa la casa editrice, ho deciso di abbandonarmi alle sue pagine con la fiducia e la speranza che ha ogni persona nell'aprire un nuovo libro.

È una storia molto romantica, persino sdolcinata in alcuni punti. Una storia d'altri tempi, oserei dire. Nel modo in cui è raccontata la vicenda, ambientata nell'Arizona del 1968, avrei ricondotto l'intero contesto al periodo regency, se devo essere onesta. Infatti, gli abbondanti flussi di parole, alquanto poetici, ma anche piuttosto prolissi, oltre alle descrizioni infinite ad opera, per mezzo e per volere dei due protagonisti, che si scrivono attraverso delle lettere, mi ha fatto pensare a una storia ottocentesca. Una di quelle con carrozze e cavalli - che, tra l'altro ci sono per davvero -, balli in maschera, chaperon e salotti animati da una certa nobiltà, quindi tutt'altro periodo, come avrete inteso.

È un'opera piuttosto lenta, che si lascia leggere perché scritta benissimo, con una proprietà di linguaggio che pochi scrittori possono vantare, ma che ha una trama molto scarna. Una trama che non racconta grandi eventi o sensazionali colpi di scena. Che racconta piuttosto l'amore in sé, in quanto sentimento, ma che intrattiene con bellissimi saliscendi di frasi adoperando una spiccata sensibilità d'animo, ma anche una fin troppa comodità nell'evidenziare fatti quasi infinitesimali. Succede poco, ben poco, infatti, e quando qualcosa succede viene condito, troppo condito, di parole che non danno una smossa né una scossa all'intero romanzo. In questo modo il lettore alla fine si chiede: “Quindi?”

Ho notato, tra l'altro, anche dei dettagli che mi hanno sorpreso e che non credo siano attinenti o adeguati alla storia. Particolari che ho avuto la sensazione siano stati messi lì perché, forse, facevano “bella figura” o magari “più scena”. Come un attore che sul palcoscenico, annoiato dal suo copione, decide di aggiungere qua e là qualche frase a effetto, così da attirare la curiosità del pubblico e i riflettori su di sé per poco più del necessario.

Io credo che un buon libro non debba solo essere scritto perfettamente, ma debba avere un contenuto. Una trama. Una storia. Un quid necessario a tenere il lettore incollato ai capitoli.

Come dico sempre: “Non è sufficiente saper scrivere bene”, bisogna creare ad arte delle storie. Inventarle dal niente, saperle sviluppare – leggi “deve succedere veramente qualcosa nel mezzo” - con una conclusione degna, sorprendente, magari anche fuori luogo, che lasci magari anche in sospeso, ma che dia alla fine qualcosa di concreto, fosse anche una riflessione o un momento di reale evasione.

Non reputo che una recensione debba raccontare la trama, né svelare alcunché, reputo che se ne debba fare una critica onesta e sincera, che il lettore abbia il diritto di dire la sua con parole adatte e semplici, oltre che adeguate al contesto.

Vorrei dire all'autrice, che ha un grosso potenziale, di scrivere davvero una storia, una trama, un racconto, perché può farlo molto bene, senza per questo perdersi in un bicchiere d'acqua.

 

LA MIA VALUTAZIONE


 

 

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